notizia tratta da www.lafedelta.it

Giovane, aperta al mondo e sociale: l’agricoltura secondo “Lele” Bressi

Centallo Bressi azienda agricola

Emanuele “Lele” Bressi ha 37 anni, vive a Centallo, è sposato con Veronica, insegnante alla scuola dell’infanzia, e ha tre figlie, Sofia, Letizia e Beatrice di 7, 4 e 3 anni, più due maschietti in arrivo. Dal 2016 – “era il solstizio d’estate” – ha raccolto il testimone da papà Franco dell’azienda agricola omonima, insediata a Fossano, subito dopo la caserma Perotti, in direzione di San Sebastiano. Qui produce pomodori “cuore di bue” in serra (sette strutture in tutto, di lunghezza anche fino a 100 metri), alternando la coltura con i cetrioli per la rotazione agricola. Li vende al grossista Ortofruit di Lagnasco o (circa il 30%) tramite vendita diretta. Gli acquirenti, nel secondo caso, sono singoli consumatori, negozi, gruppi di acquisto solidale. E a loro propone anche la passata di pomodoro – nelle versioni “rustica” o “delicata” – che commercializza con il marchio “Tumatì” (nome ed etichetta invenzioni del fratello Stefano, grafico). Fino a quando il Covid lo ha permesso, ha organizzato l’iniziativa “Campagna a porte aperte”, una festa in cascina con famiglie e bambini per avvicinare le persone al mondo agricolo.

La singolarità è che Lele non nasce agricoltore. Nel 2012, infatti, si è laureato in Scienze dell’educazione. E per diversi anni ha lavorato nella scuola come insegnante di sostegno e assistente alle autonomie, dapprima a Saluzzo e poi a Verzuolo. Qui è entrato in contatto con la fragilità. E ha deciso che non potesse chiuderle la porta della sua vita soltanto perché aveva cambiato mestiere. Così, ha deciso di dare alla sua impresa una forte connotazione sociale. In cinque anni, infatti, da Villa Cambursana, la bella tenuta di via Cuneo dove si trova la sua azienda, sono passati già una ventina di tirocinanti, dai 18 ai 55 anni, con i percorsi di vita più disparati: ex carcerati, persone con disabilità fisiche, cognitive, migranti… Per due anni è stato inserito in azienda un padre di famiglia siriano, grazie a un progetto avviato con la Coldiretti con il finanziamento della Fondazione Crc: il bando “Opp.La”, opportunità lavoro. E non a caso, nel 2020, Bressi ha ricevuto il premio speciale nella categoria “Noi e il sociale” agli Oscar Green della Coldiretti.

“La nostra è un’impresa – precisa -. E io lavoro perché si mantenga con le proprie forze. Ho tante idee per farla crescere. Già in estate, spero, completeremo in azienda un laboratorio per la trasformazione che oggi devo appaltare all’esterno. Lo faccio perché credo nelle nostre potenzialità. Allo stesso scopo, da sei mesi abbiamo cominciato a utilizzare anche l’e-commerce, un canale che ci permette di vendere il prodotto ovunque sia richiesto, in tutta Europa, tramite il nostro sito www.agricolturabressi. it -. Sono in contatto con l’Università di Pollenzo perché vorrei valorizzare una filiera di qualità nella produzione del pomodoro, esattamente come è avvenuto con le farine. Ma, all’interno di questa cornice, non posso essere indifferente ai bisogni della comunità. Lo faccio perché sento che mi appartiene, fa parte della mia vita e del mio sistema di valori: quelli che mi porto dietro da sempre”.

Vicino da sempre ai Focolarini, movimento cattolico fondato da Chiara Lubich, “Lele” si è formato respirando i concetti di condivisione e socialità, che ha avuto modo di mettere in pratica con esperienze formative “che mi hanno aperto la mente”: come l’anno trascorso in Argentina, nella comunità di O’Higgins, con ragazzi provenienti da tutto il mondo. E i due mesi con padre Vilson nella favela di Florianopolis in Brasile. Ora la sua ambizione è du- plice: crescere come azienda e far crescere le persone con il lavoro. Con un occhio di riguardo verso i più giovani. “In questi ultimi mesi, con l’emergenza Covid, è emerso un nuovo bisogno – conclude -: quello di ragazzi da 16 anni in su, piallati dalla pandemia. Almeno una ventina di mamme, nel 2020, mi hanno cercato per trovare loro un’occupazione temporanea. Ma ci sono problematiche sulla sicurezza che non tutte le aziende si sentono di affrontare. Noi abbiamo assunto Matteo, un ragazzo di Centallo, ed è stata un’esperienza bellissima. Forse il legislatore dovrebbe ripensarci e facilitare queste forme di inserimento lavorativo. I ragazzi non possono passare tutto il tempo tra «dad», telefonino e videogiochi. Devono avere un impegno. Credo che l’obiettivo valga il rischio”.

Su “la Fedeltà” di mercoledì 21 aprile

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