2/08/2023 – l’Arsenale della Pace compie 40 anni. 

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Da Torino al mondo, l’Arsenale della Pace compie 40 anni

Era il 2 agosto del 1983 quando Ernesto Olivero e i suoi amici entrarono nel rudere della vecchia fabbrica di armi diventata oggi cittadella di pace e solidarietà.

Quarant’anni di persone, volti, situazioni di ogni tipo entrate nella vecchia fabbrica di armi trasformata. Era il 2 agosto del 1983: Ernesto Olivero, sua moglie Maria e il gruppo di amici d’allora. L’impegno per la pace del Sermig. Quei muri anneriti dalla produzione bellica delle guerre del Risorgimento e delle guerre mondiali visti come metafora di un cambiamento possibile. La riconversione grazie al lavoro gratuito di persone di ogni orientamento, cultura, religione che hanno restituito tempo, risorse, disponibilità, riparando i muri, ma tenendo la porta aperta. Da allora, migliaia di progetti di sviluppo, di persone e situazioni accolte, per un letto, un pasto, una cura. Aiuti umanitari spediti ovunque: fanno ancora notizia le oltre 1600 tonnellate di cibo e farmaci raccolti per l’ucraina l’anno scorso. Altri Arsenali nati in Brasile, in Giordania e in Italia. La solidarietà che cammina insieme alla fede e alla preghiera. E un desiderio per il futuro: continuare ad essere disponibili.

Servizio di Matteo Spicuglia, montaggio di Andrea Volpe, con interviste a:
Ernesto Olivero, fondatore del Sermig
Rosanna Tabasso, presidente del Sermig

Per visionare l’intervista  https://www.rainews.it/tgr/piemonte/video/2023/08/sermig-arsenale-pace-torino-40-anni-olivero-50444798-38a5-4200-9297-e70dfa101bc8.html

 Il Sermig ai primi 40 anni, festa con l’amico presidente
articolo del 3/08/2023

Ernesto Olivero accoglie Sergio Mattarella e il sindaco Lo Russo annuncia: “In città avremo una piazza dedicata all’Arsenale della Pace”
«Avevamo pochi soldi e un grande sogno». Ricordando le speranze di gioventù diventate realtà, Ernesto Olivero ha accolto ieri mattina il presidente della Repubblica Sergio Mattarella arrivato insieme ai suoi familiari. L’occasione erano i 40 anni dalla consegna da parte dell’ex sindaco Diego Novelli di un’ala dell’Arsenale della pace agli allora ragazzi del Sermig (Servizio missionario giovani). Ad accogliere il capo dello Stato c’erano ben 200 volontari. Mattarella è arrivato alle 11 insieme ai figli e al nipote, Giovanni. A quest’ultimo è stato consegnato il premio annuale Artigiano della pace in memoria di Piersanti Mattarella, fratello di Sergio, ed ex governatore della Sicilia, ucciso dalla mafia a Palermo nel 1980. Un premio verso coloro che sono esempio con il loro impegno nella costruzione di una società migliore e più giusta.
È stata una cerimonia semplice, senza torta e candeline, ma si è ricordato il percorso fatto per trasformare l’Arsenale, ex fabbrica d’armi in disuso, che in passato sfornava pezzi d’artiglieria usati nelle guerre del Risorgimento e mondiali, in luogo per ospitare, istruire, e aiutare persone in difficoltà. «Un pugno di giovani – ha ricordato Olivero – può cambiare il corso della storia della propria città e del mondo». Bisogna solo crederci. Era l’agosto del 1983 quando presero le chiavi dell’edificio. Olivero era un giovane bancario. Insieme alla moglie Maria e agli amici dell’epoca, Guido, Rosanna e altri, entrò tra i ruderi del vecchio arsenale militare di Torino. Si rimboccarono le maniche e vedendo ciò che facevano una parte di Torino corse loro in aiuto: arrivarono ingegneri, muratori. La storia del Sermig era iniziata già anni, ma ora ecco che aveva una casa. Da allora più di mille aerei sono stati mandati in giro per il mondo con medicinali, giocattoli, vestiti puliti destinati a persone in difficoltà per via di guerre, povertà, disastri naturali. E l’Arsenale è ora un letto per chi non ce l’ha, cure mediche per chi non se le può permettere.
Quella di Mattarella è stata una visita breve ma intensa. Il Capo dello Stato è rimasto circa tre quarti d’ora ad ascoltare musiche, testimonianze, ricordi. E la sua visita è stata accolta come un dono speciale dai giovani provenienti da tutta Italia per una settimana di volontariato al Sermig. Quello tra Mattarella e Ernesto Olivero resta un rapporto di amicizia stretto. E lo dimostrano anche gli abbracci che i due si sono scambiati anche ieri all’arrivo del presidente. Un legame che va avanti dal 2015 quando i due si incontrarono per la prima volta a Torino. Da allora le visite si ripetono con frequenza. Nel 2016 una delegazione del Sermig fu invitata al Quirinale. Ogni volta che si trova a Torino, cosa che capita di frequente, Mattarella coglie sempre l’occasione per andare a trovare l’amico Ernesto.
Per omaggiare il lavoro del Sermig, il sindaco Stefano Lo Russo ha anche proposto alla commissione toponomastica che una parte di piazza Borgo Dora sia intitolata all’Arsenale.

Ernesto Olivero: i miei primi 40 anni di Arsenale della Pace
Articolo a cura di Cinzia Gatti
Perché trasformare una fabbrica di armi in una di pace? La trasformazione dell’Arsenale della Pace è un segno evidente, è la testimonianza che anche il male più oscuro può essere convertito. L’intervista esclusiva a Ernesto Olivero.

Ernesto Olivero: i miei primi 40 anni di Arsenale della Pace

Il 2 agosto l’Arsenale della Pace compie 40 anni: perché avete deciso di trasformare una fabbrica di armi in una di pace?

Di certo non è stata una decisione presa a tavolino. La storia del Sermig si è sviluppata attraverso gli imprevisti: incontri che non avremmo immaginato, situazioni che ci hanno fatto pensare. L’Arsenale della Pace è nato dall’incontro con due figure decisive: il sindaco di Firenze Giorgio La Pira e Papa Paolo VI. La Pira mi fece innamorare del profeta Isaia e delle sue parole, che annunciano un tempo in cui le armi non saranno più costruite e i popoli non si eserciteranno più nell’arte della guerra. Il Papa, invece, condivise con noi il suo sogno di una rivoluzione d’amore nella terra dei santi di Torino. L’Arsenale era proprio lì. È come se i sogni di questi due grandi uomini si fossero incontrati. Il resto lo ha fatto la Provvidenza e l’aiuto di milioni di persone, giovani e adulti, disposti a restituire tempo, capacità, risorse. Insomma, a mettersi in gioco. Lo dico sempre: noi all’epoca non avevamo una lira, ma avevamo un sogno. Tutto è iniziato così.

Cosa vuol dire essere Arsenale della Pace in un momento in cui la guerra è tornata in Europa, con il conflitto tra Russia e Ucraina?

La trasformazione dell’Arsenale della Pace è un segno evidente, è la testimonianza che anche il male più oscuro può essere convertito. A volte penso all’onda di morte partita da quella fabbrica che produsse gran parte delle armi delle guerre del Risorgimento e delle guerre mondiali. Quanto dolore! Quanta sofferenza! Eppure, oggi le pietre dell’Arsenale testimoniano un presente e un futuro diversi. Ma non basta. L’Arsenale ricorda che la pace non è una parola, un sentimento, un discorso buonista, ma un fatto che si costruisce attraverso opere di giustizia. Le abbiamo viste anche in questa assurda guerra quando l’Arsenale è stato invaso da un fiume di solidarietà incredibile che ci ha permesso di distribuire in Ucraina oltre 1600 tonnellate di aiuti. Credere nella concretezza della pace significa impegnarsi per un mondo in cui le armi non saranno più costruite, la politica e la diplomazia riprenderanno il loro spazio, il bene comune sarà la bussola. Ora non è così, ma dobbiamo impegnarci per questo, ognuno per la sua parte.

Lei ha viaggiato nei luoghi di guerra? Qual è la cosa più brutta e bella che ricorda di questi viaggi?

Credo nella pace perché ho visto la guerra. Ho conosciuto il male nascosto in ogni conflitto. Dico spesso che le armi uccidono più volte perché distolgono fondi dallo sviluppo, annientano la vita innocente, alimentano l’odio futuro, segnano per sempre i reduci. Questa è la realtà di ogni guerra e le tragedie si ripetono sempre diverse ma in fondo sempre uguali, perché il dolore è dolore. Lei mi chiede però dov’è la speranza. Me lo sono chiesto anche io più volte. Credo che anche nella guerra più atroce, la speranza sia racchiusa in ogni gesto di bene, anche nascosto. Anche nelle situazioni più drammatiche ho sempre incontrato persone splendide, disposte a dare la vita, disposte a mettersi in gioco per la pace. Dove c’è anche solo un po’ di bene, il male non vince.

Come era Borgo Dora quando siete arrivati e come è cambiato, anche per vostra iniziativa?

Borgo Dora era un quartiere difficile anche per il degrado in cui versava. Nelle case del quartiere gli ultimi trovavano abitazioni di fortuna. Prima erano immigrati dal sud poi i nuovi poveri, in arrivo dal Sud del mondo: Africa, Maghreb… Anche l’Arsenale era un rudere. Immaginate oltre 40mila metri quadrati di edifici completamente abbandonati. Quando entrammo nel primo edificio mi sembrò di entrare in una cattedrale a cielo aperto, ma oggi ripensando a quei momenti vedo anche la sproporzione del nostro sogno. Un impresario dell’epoca ci disse che sarebbero serviti centinaia di miliardi delle vecchie lire per rimettere tutto a posto. Noi eravamo un piccolo gruppo di giovani, inesperti, con pochi mezzi. Eppure, i nostri ideali ci hanno superati. L’Arsenale oggi è una casa sempre aperta: accoglienza, cultura, spiritualità, proposte per i giovani. Anche Borgo Dora oggi è diverso da tanti anni fa, e credo che il merito sia anche di chi ha messo a disposizione tempo, energie e risorse per trasformare l’Arsenale. Sono davvero milioni di persone che non smetterò mai di ringraziare.

Il Sermig è nato nel 1964, quindi il prossimo anno festeggia 60 anni? Un bilancio?

Non mi piace fare bilanci perché significa adagiarsi. Certo, i nostri numeri parlano da soli: milioni di pasti e di notti di ospitalità, milioni di ore di volontariato, milioni di persone incontrate. In una sintesi, milioni di persone che hanno aiutato e che sono state aiutate. Ma quello che conta è il metodo che ci ha portato a realizzare tutto questo: la disponibilità ad accogliere l’imprevisto, le situazioni che arrivano alla porta e che ci interpellano. Se non avessimo fatto così, il Sermig non sarebbe quello di oggi. Faccio un esempio. Ricordo l’incontro di tanti anni fa. Parlavamo di pace, quando a un certo punto un ragazzo si alzò, prese la parola puntandomi il dito contro e mi disse: “Belli questi discorsi, ma tu stanotte dove dormi?”. Io non capivo. “Allora, dove dormi?”. Continuavo a non capire. “Ehi, Olivero, mi dici dove dormi?”. Quella sera avvisai mia moglie che non sarei tornato a casa e accompagnai quel ragazzo che mi fece scoprire l’inferno di chi dormiva in stazione. Quel dito puntato fu uno degli “imprevisti” più decisivi della nostra storia. Se ogni notte negli Arsenali dormono più di 2mila persone è, anche, grazie a quel ragazzo.

Non ha mai avuto un momento di paura o di esitazione?

Certo. La paura e i dubbi fanno parte della nostra umanità. Credo rendano anche più credibile un’esperienza. Chi non ha paura e chi non ha dubbi non è umano, è un esaltato. Ma il problema non è questo. È chiedersi che cosa fare con i dubbi e con la paura. Io ho sempre cercato di guardarle in faccia, di affrontarle. La mia, la nostra forza è stata sempre cercare il consiglio di persone sagge; fare squadra con gli amici della fraternità e confrontarci. E poi fare la scelta intima di aggrapparsi alla luce anche nel buio. Mi ha sempre sostenuto la fede e con questi aiuti si può affrontare tutto. Paura e dubbi possono esserci, ma non avranno mai l’ultima parola.

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella tutte le volte che viene a Torino passa al Sermig. Come è nato il vostro rapporto?

L’incontro con il Presidente è stato una carezza. Ci siamo conosciuti pochi mesi dopo la sua elezione. Venne a Torino e chiese di visitare un luogo impegnato nella solidarietà. Scelse l’Arsenale della Pace. Da quel momento, non ci siamo più persi di vista. È nata un’amicizia che è giusto avvolgere di rispetto e anche di discrezione.

Quali sono le persone più importanti che ha incontrato in questi anni?

Faccio fatica a fare classifiche, anzi non voglio farle. Ho ricevuto insegnamenti preziosi da tante persone, alcune conosciute, altre no. Ma ho sperimentato che l’incontro vero non avviene tra ruoli, cariche, classi sociali, ma tra anime. Se partiamo da qui, possiamo imparare da tutti. Nella mia vita ho raccolto perle da autorità e persone molto importanti, ma anche dai bambini, dai carcerati, dagli ultimi che in tante situazioni sono diventati miei maestri. Poi, certo, ci sono stati incontri che hanno allargato la nostra strada: penso a Giovanni Paolo II, a dom Luciano Mendes de Almeida, a madre Teresa di Calcutta. Ma anche a figure come Michele Pellegrino, Norberto Bobbio e Sandro Pertini. Ho ricordi indelebili di ognuno e l’elenco potrebbe essere molto più lungo.

Torino, come moltissime altre grandi città, vive un momento di difficoltà economica. Pandemia prima e caro-bollette poi hanno allungato le file di persone in cerca di aiuto? E come rispondete a questa crescente domanda di bisogno?

Avvertiamo la crisi già da tempo. Nei due anni di pandemia, e successivamente, si è acutizzata. Il post pandemia è molto complesso. Dal lockdown ad oggi all’Arsenale della Pace ci siamo ritrovati ad aiutare centinaia di persone e di nuclei familiari sia per il cibo che per le visite mediche. Ma c’è anche una povertà che non si vede, è la fragilità psicologica di tanti, soprattutto dei più giovani. Noi proviamo a fare la nostra parte, ma credo che la provocazione generale di questo tempo sia chiedersi con onestà: “Ma io, cosa posso fare?”. La risposta riguarda tutti. C’è bisogno dell’impegno e della creatività di tutti: risorse, vicinanza, amicizia, concretezza. Occorre darci da fare.

Rifarebbe tutto o c’è qualche rimpianto?

Rimpianti no. Posso aver sbagliato qualcosa, ma non in malafede. Ho sempre cercato di fare tutto quello che potevo, ho fatto del mio meglio. Oggi, come ieri, cerco di vivere l’attimo presente. È lì che siamo chiamati a giocarci la vita. Il passato non è più, il futuro non ancora. Ma l’oggi è nelle nostre mani. Sta a noi, sta a noi scegliere come spenderlo.

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